Inizialmente i cookie sono stati introdotti per memorizzare gli oggetti da acquistare su un sito Internet: nelle piattaforme di e-commerce, in caso di interruzione della sessione, avete mai notato che i prodotti scelti rimangono ugualmente nel carrello?
È il potere magico dei cookie che consentono anche di ricordare alcune informazioni a noi molto care come nome, indirizzo, password, e-mail, dettagli delle nostre carte di credito e tanto altro. In realtà il pericolo non sussiste, anzi possiamo solo goderci la comodità data dal non compilare sempre tutto da capo.
Questi “frammenti di dati” (nostri) vengono anche utilizzati per memorizzare le ricerche e suggerire dei contenuti simili, acquisire dati di navigazione con l'obiettivo di conoscere i gusti e i bisogni dell'utente, da utilizzare a fini pubblicitari (cookie di terze parti). Sbirciare le nostri abitudini di consumo potrebbe costituire una potenziale e seria minaccia per la privacy degli utenti. Ecco perché molti browser web hanno già disabilitato il supporto ai cookie di terze parti e altre aziende, come Apple con la sua App Tracking Trasparency, hanno attivato iniziative più aggressive proprio per salvaguardare la privacy degli utenti.
Google invece sta impiegando molto più tempo, per diversi motivi che riguardano principalmente una serie di introiti a cui, essendo leader di mercato, è complicato rinunciare.
Detto questo il progetto Google Privacy Sandbox, annunciato nel 2019 che prevedeva l’eliminazione dei cookie di terze parti entro il 2022, è stato posticipato prima al 2023 e da poco rimandato al 2024.
L’obiettivo dell’azienda è quello di poter rinunciare ai cookie di terze parti, pur continuando a garantire agli inserzionisti marketing gli stessi risultati competitivi delle pubblicità su Google, mantenendo però un maggior grado di privacy.
La cookie apocalypse è pertanto certamente rimandata: il 2024 sarà davvero l’anno della svolta?